«L’opera di Giuseppe Penone insiste sull’uomo come occasione e non soggetto del sentire. Ha di mira le impressioni dei sensi, quelle rivelazioni che, prima di offrirsi alla coscienza, lasciano che soggetto e oggetto non siano presupposti, ma accadano su una soglia che è la pelle del mondo.
«L’arte di Penone deriva dal lasciarsi appartenere al cielo e alla terra. […] L’imprimersi nei sensi, l’offrirsi come impronta è la compresenza del sé e del mondo, la linea che non appartiene all’uno o all’altro, ma segna l’incontro e l’orizzonte di un agire che ha i connotati dell’impossibilità e dell’assolutezza e che esige l’opera estrema, unica ed eterna: non attingere a un presunto originario, ma abitare questa incolmabile distanza dalla propria genesi»
«Stringere l’albero sapendo che il tronco ricorderà il contatto della mano e modificherà la propria crescita così come lasciare la misura delle braccia con l’altezza e lo spessore del corpo lungo il corso di un fiume che attraverserà permanentemente tale impronta somatica sul proprio letto: sono gesti che collocano la scultura nel tempo piuttosto che nello spazio».
(Gianfranco Maraniello, Prefazione agli scritti di Giuseppe Penone, in G. Maraniello, J. Watkins, Giuseppe Penone Scritti 1968-2008, MAMbo 2009, pagg. 6 e 8)
Gianfranco Maraniello è Direttore del MART – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto. Ha diretto anche GAM – Galleria d’Arte Moderna di Bologna, poi MAMBO – Museo d’Arte Moderna di Bologna e infine l’Istituzione Bologna Musei. Nel 2006 stato curatore della Biennale internazionale d’arte contemporanea di Shanghai. È stato docente in Master presso la LUISS di Roma e l’Accademia di Brera. Nella sua attività curatoriale ha realizzato mostre, tra gli altri, di Morandi, De Chirico, Penone, Zorio, Calzolari, Guerzoni. Di particolare significato per la presente rassegna, Giuseppe Penone. Scritti (1968-2008), con J. Watkins (Bologna 2009).
Giuseppe Penone (Garessio, 1947), esordisce alla fine degli anni Sessanta all’interno del movimento della “arte povera”. Tra i temi centrali della sua opera vi è il rapporto tra il corpo umano e la natura attraverso la superficie di confine tra io e mondo rappresentata dalla pelle. Molte sue opere sono calchi di corpi su superfici naturali come i tronchi d’albero, così che l’impronta che ne deriva indichi la memoria di un’assenza e il costante cambiamento della materia. Alla sperimentazione sui materiali e alle loro trasformazioni sono dedicate molte installazioni sia per interni che per esterni. Ha esposto, tra l’altro, a Documenta, Kassel (1972, 1987), alla Biennale di Venezia (1978, 2007), al Museum of Modern Art di New York (1981) e al Centre Pompidou di Parigi (2004).